Raul Gardini ed il MORO di Venezia

Voluta da Raul Gardini, che con lo stesso nome aveva già posseduto tre maxi yacht, e sostenuta dall’impegno economico e tecnologico della Montedison, presso la sede della Compagnia della Vela di Venezia quella de Il Moro fu la terza partecipazione italiana alla Coppa dopo Azzurra (edizioni 1983 e 1987) e Italia (edizione 1987).

Dopo prove in vasca a Roma con 20 modelli, vennero varati 5 diversi scafi per Il Moro:

  • Il Moro di Venezia I (numero velico ITA 01), varato a Venezia l’11 marzo 1990[1]
  • Il Moro di Venezia II (numero velico ITA 07), varato a Puerto Portals il 7 agosto 1990[2]
  • Il Moro di Venezia III (numero velico ITA 15), varato a San Diego il 15 aprile 1991
  • Il Moro di Venezia IV (numero velico ITA 16), varato a San Diego il 15 giugno 1991
  • Il Moro di Venezia V (numero velico ITA 25), varato a San Diego il 16 dicembre 1991

L’ultima evoluzione fu anche quella che risultò più competitiva ed affidabile per cui il 24 gennaio 1992, al termine del periodo di prova sul campo di gara, venne ufficialmente prescelta per competere nella Louis Vuitton Cup.

La storia di Gardini grande velista inizia nel 1976 con la costruzione del primo maxi italiano quando è già un ricco uomo d’affari della Ferruzzi, con barche prestigiose tutte chiamate “Il Moro di Venezia”. La sua apoteosi avviene nella Coppa America a partire dall’edizione del 1988.
Nel 1988 l’America’s Cup cambia, viene scelta dai sindacati un nuovo tipo di barche di lunghezza ’75 piedi. Alta tecnologia e spettacolarità: questo è quanto richiesto ai nuovi scafi. Rispetto ai precedenti 12  metri, gli IACC sono il 20% più lunghi, hanno il 66% in più di superficie velica, e sono il 34% più leggeri.
Indubbiamente sono scafi molto innovativi, l’idea è quella di fare una vera formula uno del mare, utilizzando il meglio dei materiali del momento.

Il Moro di venezia

San Diego 1992 America’s Cup 1992 il MORO di VENEZIA Photo:? Carlo Borlenghi?

L’esasperazione tecnologica è incoraggiata dalle arie leggere che caratterizzano San Diego  dove il vento appunto è piuttosto raro e l’oceano davvero Pacifico. Con queste sfide si ritorna ai sindacati con grandi budget per es.appunto quella del Moro di Venezia e quella di America 3  che investono nella regata più di 100 miliardi ciascuna.

Gli sfidanti sono otto. In semifinale arrivano in 4 giapponesi, francesi, neozelandesi e italiani. La finale tra gli sfidanti sarà tra Il Moro ed i Kiwi , con una interessante barca a doppia chiglia di Farr ed un intelligente bombresso per i gennaker (ben oltre i limiti del regolameto) che si giocheranno l’accesso alla finalissima con gli americano di America3.
 

La finale della Louis Vuitton Cup  comincia proprio nel giorno di Pasqua.
 

Il Moro di Venezia è disegnato dall’argentino German Frers. E’ uno scafo rosso, molto bello, col leone dorato di Venezia stupendamente stilizzato sullo scafo e sulle vele. Lo timona lo skipper di San Francisco Paul Cayard, campione mondiale della Star che ha conquistato la completa fiducia di Gardini. Il timoniere americano ha i baffetti ed uno sguardo astuto e vivace.

L’equipaggio di America 3


 Con venti leggeri Il Moro vola e sembra imbattibile. Il tifo italiano è alle stelle e si scoprono un sacco di neofiti della vela che seguono alla Tv di notte le avventure della barca di Gardini.
 E’ omozionante sentire all’alba, mentre il team italiano esce in mare, nella baia di San Diego rieccheggiare le note struggenti della Turandot…
 

“Nessun dorma!… Nessun dorma!…

Tu pure, o Principessa, nella tua fredda stanza guardi le stelle

che tremano d’amore e di speranza!

Ma il mio mistero è chiuso in me,

il nome mio nessun saprà!

No, no, sulla tua bocca lo dirò, quando la luce splenderà!

Ed il mio bacio scoglierà il silenzio che ti fa mia!

Dilegua, o notte! tramontate, stelle! Tramontate, stelle!

All’alba vincerò! Vincerò! Vincerò!”

I neozelandesi invece guardano il mare, sicuri delle loro scelte e della loro barca. Non cantano alle stelle, ma si allenano e basta, solo efficienza e conoscenza della tecnica della vela. Sono due modi diversi di fare la vela agonistica che si scontrano: la concertezza anglosassone e la passione mediterranea.
 

America’s Cup 1988 – New Zealand

New Zealand è disegnato da Bruce Farr, considerato il numero uno dei progettisti, è timonato da Rod Davis, un espertissimo timoniere statunitense e nel team c’è anche l’astro nascente  Russel Coutts. I Kiwi infilano tre vittorie ad uno e sono ad un passo dalla vittoria, si gareggia al meglio delle nove regate.
 

Gardini vede la fine di una grande avventura e di tanti soldi spesi inutilmente.

La gloria
 Quando la battaglia volge al peggio un vero corsaro tira fuori un colpo a sorpresa e rilancia la sfida, come ad esempio una bagarre legale per dimostrare l’illegalità del bompresso e mettere in crisi l’avversario che aveva tentato di barare.
Da quel momento i neozelandesi vanno veramente in crisi, colpiti sull’orgoglio, le sicurezze dei freddi uomini di mare cadono ed è buio pesto. Non vincono più una regata!
 

Il Moro di Venezia, clamorosamente recupera la situazione 3-3. 
 

Allora i Kiwi cercano la mossa della disperazione sul 3 a 3 sbarcando addirittura il timoniere sostituendolo con il più giovane Russel Coutts, ma il risultato non cambia. Il Moro è lanciato e vola in finale. Prima barca “non anglosassone” a farlo nell’intera storia della regata.
 

E’ il trionfo di Gardini. Nessuno avrebbe scommesso un cent sul Team italiano ed adesso invece è ad un soffio dalla coppa.

America 3 del miliardario di Kansas City Bill Koch è la barca “defender” che l’attende in finale. Koch ha al timone il 62enne Harry Buddy Melges, uno dei migliori velisti di sempre, un talento naturale. Due volte campione mondiale nella classe Star, oro nei Soling alle olimpiadi del 1972, il bronzo negli FD nel 1964. 

Melges è riuscito a battere il timoniere mito dell’America’s cup Dennis Conner in casa sua. Il San Diego Y.C. è il circolo del quale è stato Commodore e per cui aveva riconquistato la coppa dagli Australiani. Il regolamento di coppa obbliga il Moro a mantenere la stessa barca, mentre permette, (con assoluta sportività…) ai detentori di poter scegliere la barca all’ultimo minuto.
 

Disegnate da Doug Peterson, John Reichel e Jim Puig le barche di Koch si rivelano veloci con vento medio forte, mentre il Moro di Venezia è una barca necessariamente all-around con massime performance con i venti leggeri della zona.  In condizioni tipiche il favoritissimo sarebbe il Moro. Ma  il fato è  lì al varco che aspetta il ns. corsaro. Un avventuriero può vincere le imboscate e le battaglie, ma non la guerra!

E così sarà! Per tutta la durata delle selezioni Bill Koch aveva messo in atto il tutto tecnologicamente possibile per spiare i Challenger, assolda sommozzatori per fotografare opere vive e chiglie, circonda i campi di regata con barche stracariche di  apparecchiature elettroniche, registra qualsiasi particolare utile alla messa a punto della sua barca. Inascoltate le proteste degli sfidanti.

Solo dopo capiremo che non poteva essere diversamente.

Una perturbazione piomba su San Diego nella settimana della finale, con venti medio forti.

Gli americani l’avevano prevista oppure è solo culo al cubo? America3 nata apposta per quel vento e con volumi di carena diversi, ben immersa in acqua, fenderà con sicurezza le onde mosse della baia di San Diego, mentre il Moro arranca su un mare che non è il suo. Con puntiglio gli italiani strappano una vittoria al foto-finisch in un calo di vento con gli spy mollati in avanti per tagliare il traguardo. Per il resto non ci sarà storia nella sfida: il risultato della finale, al meglio delle 7 regate, sarà di 4 a 1.

Raul Gardini sul Moro di Venezia

Gardini avrà lo stesso un trionfo di pubblicità ed una grande visibilità. La sua foto mentre timona la grande barca rossa sarà sulle prime pagine di tutti i media del mondo.

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